IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale - Sezione Quinta 
 
    ha pronunciato la  presente  ordinanza  sul  ricorso  in  appello
iscritto al numero di registro generale 3500 del 2019, proposto da: 
        Daunia Faeto S.r.l.,  Daunia  Wind  S.r.l.,  in  persona  del
legale rappresentante  pro  tempore,  rappresentate  e  difese  dagli
avvocati Giuseppe Mescia, Franco  Gaetano  Scoca,  Francesco  Saverio
Marini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e
domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Franco Gaetano  Scoca
in Roma, via Giovanni Paisiello 55; 
    Contro: 
        Comune  di  Faeto,  in  persona  del  sindaco  pro   tempore,
rappresentato e difeso dall'avvocato Rosaria Gadaleta, con  domicilio
digitale come da PEC da Registri di giustizia; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per la Puglia - sede di Bari, Sezione Prima, n. 00407/2019,
resa tra le parti, concernente la Convenzione in data 30 agosto  2007
tra il Comune di Faeto e la Daunia Faeto S.r.l. per la  realizzazione
di un parco eolico; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Faeto  che
ha spiegato anche appello incidentale; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  21  novembre  2019  il
consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Scoca,
Marini e Gadaleta; 
 
                          Premesso in fatto 
 
    Il Comune di Faeto e la Daunia Wind S.r.l. stipulavano in data 30
agosto 2007 una «convenzione per la realizzazione di un parco eolico»
da parte della seconda su aree a destinazione agricola  comprese  nel
territorio del primo, site in localita' «Montagna - Pescara - Scavo -
Vadonico»; 
    richiamati in premessa il decreto legislativo 29  dicembre  2003,
n.  387  (Attuazione  della  direttiva   2001/77/CE   relativa   alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') e l'art. 1,  comma
5,  della  legge  23  agosto  2004,  n.  239  (Riordino  del  settore
energetico,  nonche'  delega  al  Governo  per  il  riassetto   delle
disposizioni vigenti in materia  di  energia),  nonche'  la  sentenza
della Corte costituzionale 14 ottobre 2005, n. 383 (che ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  4,  lettera  f)
della legge n. 239/2004 nella parte in cui si escludono gli «impianti
alimentati da  fonti  rinnovabili»  dalla  previsione  di  «eventuali
misure di compensazione»),  nella  convenzione  (intitolata  «accordo
volto a disciplinare misure compensative e di riequilibrio ambientale
per la costruzione, il funzionamento e la manutenzione di un impianto
nonche' ulteriori adempimenti») erano previsti i seguenti patti: 
        il Comune di Faeto, oltre ad obbligarsi  «a  patire  tutti  i
disagi  e  tutti  gli  oneri  derivanti  dalle  servitu',  anche  non
apparenti, sui propri beni, che potranno essere richiesti al Comune»,
si  impegnava  «a   provvedere   per   quanto   di   sua   competenza
all'ottenimento, al rilascio e all'adozione di tutti gli  atti  ed  i
provvedimenti  necessari  ed  opportuni   al   raggiungimento   delle
finalita'  della  presente  Convenzione,   assumendosi   l'onere   di
utilizzare tutte le vigenti leggi al fine di rendere possibile con la
massima diligenza e rapidita' la realizzazione del parco  eolico»  ad
ulteriore specificazione degli obblighi cosi' assunti, il  comune  si
impegnava, inoltre,  «a  non  compiere  alcuna  attivita'  che  possa
ostacolare l'esecuzione dei  lavori  e  delle  opere»,  ad  astenersi
altresi' «dal porre in essere fatti o atti che possano  risultare  di
pericolo per l'impianto stesso ovvero che ne  ostacolino  il  normale
uso  ovvero  ancora  che  ne  diminuiscano  o  rendano  piu'  scomodo
l'esercizio dei diritti» ed infine «ad adottare e/o  richiedere  ogni
atto, parere e provvedimento  amministrativo  comunque  necessari  ed
utili per l'esecuzione dei  lavori  e  delle  opere  occorrenti  alla
realizzazione, alla manutenzione, alla gestione  e  al  funzionamento
dell'impianto», fermo restando che «l'attivita' del Comune  retta  da
norme di  diritto  pubblico  esclude  qualunque  responsabilita'  del
Comune stesso nel caso di non ottenimento da parte di Daunia Wind  di
provvedimenti abilitativi, o in qualunque altro modo denominati»; 
        quest'ultima   a   sua   volta,   all'art.    3    (rubricato
«Corrispettivo   economico»)    assumeva    l'obbligo    di    pagare
all'amministrazione un compenso denominato «canone  di  compensazione
annuo complessivo», fissato per l'intera  durata  della  convenzione,
«nonche' a  titolo  di  corrispettivo  per  le  obbligazioni  assunte
dall'Amministrazione» e di «indennita' per la costituzione di diritti
di servitu' e di ogni altro onere o disagio», determinato, in  misura
variabile, nella misura pari  alla  percentuale  del  due  per  cento
dell'importo, netto da IVA, fatturato per  la  cessione  dell'energia
prodotta annualmente da tale impianto con un minimo garantito di euro
9.400,00 annui per MW installato, e a versare  all'avvio  dei  lavori
delle somme «una tantum» per la realizzazione di un'opera pubblica; 
        la   proponente   si   impegnava,   inoltre,   ad   impiegare
l'imprenditoria locale in fase di realizzazione dei  lavori  che  per
entita'  e  caratteristiche  tecniche  fossero  compatibili  con   la
relativa specializzazione e capacita' imprenditoriale (art. 4); 
          era fissata una durata della convenzione pari a  trent'anni
a decorrere dalla data di entrata in produzione dell'impianto,  salvo
eventuale rinnovazione espressa  per  la  durata  di  ulteriori  anni
ventinove (art. 2); 
          la Daunia  Wind  si  riservava,  inoltre,  la  facolta'  di
recedere   dalla   convenzione   in   caso   di   impedimento   della
realizzazione,  anche  parziale,  ovvero   del   finanziamento,   del
funzionamento, della  gestione  o  della  manutenzione  dell'impianto
eolico, «con salvezza dei canoni  e  corrispettivi  gia'  versati  in
favore del Comune» (art. 5); 
          il Comune di Faeto prendeva atto del diritto della societa'
proponente a trasferire in capo a terzi finanziatori o a soggetti  da
questi designati la posizione contrattuale relativa alla convenzione,
fermo restando che tale trasferimento  non  avrebbe  pregiudicato  il
diritto del Comune a percepire i  corrispettivi  ad  esso  dovuti  in
forza della convenzione (art. 6); 
          successivamente la Regione Puglia  rilasciava  alla  Daunia
Wind l'autorizzazione unica ex art. 12 del decreto legislativo n. 387
del 2003  per  la  costruzione  e  l'esercizio  dell'impianto  eolico
progettato (con determina dirigenziale n. 188 del 19 febbraio  2008),
gia' richiesta dalla societa'  anteriormente  alla  convenzione,  con
domanda presentata al settore energia in data 30 dicembre 2004; 
          a seguito della realizzazione  dell'impianto  eolico  e  in
esecuzione della convenzione stipulata tra le parti, la Daunia Wind e
la Daunia Faeto S.r.l. (societa' alla quale e'  stato  conferito  con
atto notarile del 18 marzo  2008  il  ramo  d'azienda  contenente  la
centrale eolica e che e' pertanto  subentrata,  previa  voltura,  nei
diritti e obblighi derivanti dalla su indicata autorizzazione  unica)
versavano al Comune le somme convenute a titolo di canone annuo  sino
a  quando,  a  partire  del  2013,  ne  interrompevano  la   dazione,
contestando  che  l'obbligo  previsto  nel  citato   art.   3   della
convenzione fosse legittimo; 
          ed infatti, con ricorso  ritualmente  proposto  dinanzi  al
Tribunale amministrativo per la Puglia - sede di Bari la Daunia  Wind
e la sua avente causa Daunia Faeto  domandavano  la  declaratoria  di
nullita' della citata convenzione nella parte in cui era previsto per
la mera localizzazione sul territorio comunale di un impianto  eolico
il pagamento di un «corrispettivo economico», suddiviso in un «canone
variabile» annuo  e  in  due  distinte  somme  «una  tantum»  per  la
realizzazione di opere pubbliche, e la condanna del Comune resistente
alla restituzione delle somme percepite in adempimento alla  medesima
convenzione, pari ad euro 547.148,00, oltre interessi e rivalutazione
come per legge; 
        in particolare, le ricorrenti, richiamata  la  giurisprudenza
costituzionale  che  ha  precisato  la   natura   delle   misure   di
compensazione e l'illegittimita' di prestazioni a carattere meramente
patrimoniale, hanno dedotto la  nullita'  dell'impugnata  convenzione
per contrarieta' a norme  imperative  e  violazione  della  direttiva
1996/92/CE (recepita  con  decreto  legislativo  n.  79/1999),  della
direttiva 2003/54/CE (recepita con legge n. 62/2005), della direttiva
2009/28/CE (recepita  con  decreto  legislativo  n.  28/2011),  degli
articoli 23, 41 e 117 della Costituzione, della  legge  n.  239/2004,
del decreto legislativo n.  387/2003,  del  decreto  ministeriale  10
settembre 2010, del principio  di  liberalizzazione  del  mercato  di
produzione di energia  elettrica  e  del  principio  di  liberta'  di
produzione di energia eolica; 
        nella memoria conclusionale, le ricorrenti  hanno  richiamato
alcune recenti pronunce della  stessa  Sezione  dell'adito  Tribunale
amministrativo (n. 737 del 24 maggio 2018 e n. 830 del 7 giugno  2018
le quali hanno dato luogo ad ordinanze di sospensione del giudizio  e
rimessione  in  relazione  ad  analoghe  questioni  di   legittimita'
costituzionale sollevate da questo giudice  di  appello),  che  hanno
accolto ricorsi in fattispecie del tutto analoghe alla  presente,  ed
inoltre - quale sopravvenienza normativa - l'art. 1, comma 953, della
legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2019-2021), assumendo che detta disciplina  avrebbe  «definitivamente
preso  atto   dell'ormai   consolidato   orientamento   normativo   e
giurisprudenziale» sulla contrarieta' di simili convenzioni  a  norme
imperative;  ne  hanno  tuttavia  dedotto,  seppur  in  via  gradata,
l'illegittimita'  costituzionale  (se   e   ove   tale   sopravvenuta
disposizione,  invocata  anche  dal   Comune   a   fondamento   della
legittimita' della convenzione impugnata e della conseguente  assenza
di un obbligo di restituzione a suo carico  delle  somme  corrisposte
negli anni dalla societa'  in  adempimento  alla  convenzione,  fosse
ritenuta  applicabile  al  caso  oggetto  di  giudizio),  oltre   che
l'inapplicabilita' nella fattispecie; 
        il Comune di Faeto ha richiesto, a sua volta, di rigettare il
ricorso  proprio  per  effetto  dell'applicazione  alla   fattispecie
controversa della normativa sopravvenuta di  cui  all'art.  1,  comma
953, della citata legge  n.  145  del  2018,  il  quale  testualmente
prevede che: «Ferma restando la natura giuridica di libera  attivita'
d'impresa dell'attivita' di produzione,  importazione,  esportazione,
acquisto  e  vendita  di  energia  elettrica,  i  proventi  economici
liberamente pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali,
nel  cui  territorio   insistono   impianti   alimentati   da   fonti
rinnovabili, sulla base di accordi bilaterali sottoscritti prima  del
3 ottobre 2010, data di entrata in vigore delle linee guida nazionali
in  materia,  restano  acquisiti  nei  bilanci  degli  enti   locali,
mantenendo detti accordi piena efficacia. Dalla data  di  entrata  in
vigore della presente legge, fatta salva la liberta' negoziale  delle
parti, gli accordi medesimi sono rivisti alla luce  del  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010, e  segnatamente  dei
criteri contenuti nell'allegato 2 al medesimo  decreto.  Gli  importi
gia' erogati e da erogare in favore degli enti locali concorrono alla
formazione  del  reddito   d'impresa   del   titolare   dell'impianto
alimentato da fonti rinnovabili»; 
        con la sentenza di estremi indicati in epigrafe, il Tribunale
amministrativo,  disattese  le  eccezioni  in  rito   preliminarmente
sollevate dal Comune, ha ritenuto infondato  nel  merito  il  ricorso
delle societa' e lo  ha  respinto,  sull'assunto  dell'applicabilita'
alla fattispecie della sopravvenuta disposizione di cui  all'art.  1,
comma 953, della legge n. 145 del 2018; 
        in  sintesi,  il  Tribunale   ha,   infatti,   ritenuto   che
sussisterebbero nella specie tutti i presupposti  per  l'applicazione
della norma in questione, quali in particolare: a)  in  primo  luogo,
l'esistenza di un accordo «liberamente» pattuito tra le parti, tenuto
conto che era stata la stessa Daunia Wind a proporre al  Comune,  con
richieste  del  21  ottobre  2004  e  del  13   febbraio   2006,   la
realizzazione  dell'impianto  in  oggetto  e  che  le  parti  avevano
preventivamente elaborato uno schema di  convenzione  (approvato  con
deliberazione del  consiglio  comunale  n.  9  del  7  marzo  2006  e
richiamato  anche  nella  determinazione  dirigenziale  di   rilascio
dell'autorizzazione unica), nella quale  si  era  precisato  che  gli
introiti derivanti dall'accordo fossero «vincolati per scopi  sociali
e assistenziali e per agevolazioni a favore del cittadino»; pertanto,
nulla in punto di fatto poteva confutare che i  «proventi  economici»
corrisposti nel tempo erano stati,  a  monte,  «liberamente  pattuiti
dagli operatori del settore con gli enti locali» e nessun vulnus  era
stato arrecato alla  liberta'  di  autodeterminazione  negoziale  dei
primi, non avendo il Comune posto in essere alcuna condotta sleale  o
in violazione del dovere di correttezza per indurli alla  stipula  di
un «contratto (valido ma) economicamente pregiudizievole» (secondo  i
principi affermati in subiecta materia da Cons. di Stato, Ad. Plen. ,
4 maggio 2018, n. 5), trattandosi peraltro di una regolazione, sempre
secondo la sentenza, «sostanziata da una base  di  diritto  positivo,
ossia l'art. 1, comma 5, della legge n. 239/2004», in ordine alla cui
legittima applicazione le ricorrenti nulla avrebbero dedotto;  b)  in
secondo luogo, la  sussistenza  dei  presupposti  temporali  previsti
dall'art. 1, comma  953,  della  legge  n.  145/2018,  in  quanto  la
convenzione e' stata sottoscritta «prima del 3 ottobre 2010, data  di
entrata in vigore delle linee guida nazionali in materia» di  cui  al
decreto ministeriale 10 settembre 2010 e risaliva ad un'epoca in cui,
secondo la sentenza di prime cure, «non esisteva nell'ordinamento  di
settore alcuna norma che definisse in maniera puntuale le  misure  di
compensazione  ambientale»  (definite,  nella  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 119 del 26 marzo 2010, sempre anteriore alle citate
Linee  Guida,  «una  monetizzazione  degli  effetti   deteriori   che
l'impatto ambientale determina», per effetto dell'installazione di un
determinato impianto); c) infine, la mancata prova, incombente  sulle
ricorrenti secondo le regole generali in materia  di  ripetizione  di
indebito, che le  somme  erogate  o  da  erogare  dalle  societa'  in
esecuzione delle convenzione impugnata non fossero state  debitamente
«acquisite nei bilanci» dell'ente locale, come  e'  prescritto  dalla
sopravvenuta disposizione invocata dall'Amministrazione resistente; 
        le societa'  originarie  ricorrenti  hanno  proposto  appello
avverso la sentenza di primo grado; 
        nell'atto  di  appello,  le  ricorrenti  hanno  ribadito   la
prospettazione,  sostenuta  nel  primo  giudizio  e  disattesa  dalla
sentenza impugnata, secondo cui la convenzione  del  30  agosto  2007
stipulata con il Comune di Faeto sarebbe nulla,  ai  sensi  dell'art.
1418, comma 1, codice civile, per contrarieta' alle norme  imperative
di cui agli articoli 12, comma 6,  decreto  legislativo  n.  387  del
2003, e 1, comma 5, legge n. 239 del  2004,  per  avere  previsto  un
corrispettivo pecuniario per l'autorizzazione a realizzare e  gestire
l'impianto di produzione energetica da fonti rinnovabili,  oltre  che
per illiceita' dell'oggetto (ai sensi del  combinato  disposto  degli
articoli 1418 e 1346 del codice civile, sull'assunto  che  l'invocata
normativa sulla liberalizzazione  degli  impianti  di  produzione  di
energia da fonti rinnovabili precluderebbe  sul  piano  giuridico  la
stipulazione dell'accordo contestato) e per frode alla legge ex  art.
1344 del codice civile (costituendo essa, nella misura in cui  impone
il pagamento di un canone correlato unicamente alla realizzazione  di
un impianto da fonti rinnovabili nel territorio  comunale,  un  mezzo
per eludere le richiamate norme imperative ed i principi che regolano
la materia della produzione di energia  elettrica);  tanto  piu'  che
tale illegittima  misura  di  compensazione,  a  carattere  meramente
patrimoniale,  non  e'  stata  neppure  disposta  nell'ambito   della
Conferenza di servizi  svolta  per  il  rilascio  dell'autorizzazione
unica  ex  art.  12  del  decreto  legislativo  n.  387/2003  (bensi'
nell'ambito di una convenzione, avente natura negoziale e di  accordo
ai sensi dell'art. 11 della legge 7 agosto 1990, n.  241,  intercorsa
con  il  solo  Comune,  ente  destinatario  dei  proventi  economici,
asseritamente privo di potesta' amministrative riconosciute  ex  lege
in  materia)  e   prescinde   sia   dalle   concrete   e   specifiche
caratteristiche del parco eolico, sia da qualsivoglia valutazione  in
ordine al conseguente impatto ambientale e territoriale; 
        nei loro  scritti  difensivi  le  appellanti  hanno,  dunque,
argomentato  l'erroneita'   delle   tesi   recepite   dal   Tribunale
amministrativo che ha ritenuto applicabile, nel  caso  in  esame,  la
sopravvenuta disposizione dell'art. 1, comma 953, della legge n.  145
del 2018, e in base ad  essa  ha  ritenuto  fondato  l'assunto  della
legittimita' della convenzione contestata e dei pagamenti in forza di
essa riscossi dal  Comune  ed  asseritamente  ancora  dovuti:  hanno,
infatti,   sostenuto   che   difetterebbero   i    presupposti    per
l'applicazione di tale norma  (in  ragione  del  contenuto  meramente
patrimoniale e di corrispettivo economico delle  misure  compensative
ivi previste per la realizzazione e l'esercizio dell'impianto) e che,
in ogni caso, il Comune non ne  ha  dimostrato  la  sussistenza  (non
avendo provato, in particolare, l'avvenuta  iscrizione  nel  bilancio
comunale  delle  somme  previste  a  titolo  di  misura  compensativa
patrimoniale,  come  richiesto  dalla  lettera   della   disposizione
sopravvenuta secondo cui i proventi  economici  liberamente  pattuiti
tra  le  parti  in  forza  delle  convenzioni  controverse   «restano
acquisiti ai bilanci degli enti locali»); 
        le appellanti hanno poi censurato i capi della  sentenza  che
hanno ritenuto insussistenti i presupposti per una  rimessione  della
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  953,
della legge n.  145  del  2018,  che  hanno  nuovamente  prospettato,
qualora tale disposizione dovesse ritenersi applicabile nel  presente
giudizio, deducendone la rilevanza e la  non  manifesta  infondatezza
sotto plurimi e articolati profili (oltre ad  assumere  il  contrasto
della norma della legge di bilancio con il diritto  eurounitario,  in
particolare con la direttiva 2003/54/CE, la direttiva 2009/72/CE e la
direttiva  2001/77/CE,  le  cui  previsioni  sono   improntate   alla
valorizzazione dell'apertura del mercato dell'energia, all'assenza di
restrizioni e alla riduzione  degli  ostacoli  normativi  all'aumento
della produzione di energia da fonti rinnovabili). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Secondo la sentenza di primo grado, la norma sopravvenuta di  cui
all'art.  1,  comma  953,  della  legge  n.  145  del  2018   avrebbe
«cristallizzato, senza riferimento alcuno  a  pendenti  controversie,
l'incertezza  del  previgente  quadro  legislativo  sulle  misure  di
compensazione ambientale»,  tradottesi  nell'erogazione  di  proventi
economici «liberamente pattuiti dagli operatori di  settore  con  gli
enti locali» in virtu'  di  «accordi  previsti  (se  non  addirittura
incentivati) dalla legge n. 239/2014»,  ma  in  difetto,  al  momento
dell'emanazione  della  legge,  di  una  disciplina   normativa   che
definisse il contenuto delle misure compensazione; 
    cio' avrebbe dato luogo a criticita' nella gestione degli accordi
tra  operatori  del  settore   e   amministrazioni,   che   risultano
esemplificate nella fattispecie controversa, cui l'art. 1, comma 953,
della  legge  n.  145   del   2018,   disposizione   «con   efficacia
retroattiva», avrebbe inteso porre rimedio; 
    nel censurare le statuizioni di prime cure,  che  hanno  ritenuto
applicabile alla fattispecie la norma in questione e non  fondata  la
questione di  legittimita'  costituzionale  prospettata  nel  ricorso
introduttivo, le appellanti hanno, invece, ribadito che,  per  quanto
rileva,   la   normativa   di   settore   vigente   all'epoca   della
sottoscrizione della  convenzione  di  cui  si  assume  l'invalidita'
stabiliva limpidamente il divieto assoluto di  introdurre  misure  di
compensazione a carattere patrimoniale: ed  infatti,  l'art.  12  del
decreto  legislativo   n.   387   del   2003   gia'   prevedeva   che
«l'autorizzazione non puo' essere subordinata ne' prevedere misure di
compensazione a favore delle regioni e delle province»  e  l'art.  1,
comma 5, della legge n. 239 del 2004 contempla unicamente «misure  di
compensazione e riequilibrio ambientale»; 
    secondo le appellanti, non sarebbe pertanto revocabile in  dubbio
che tanto la disciplina in tema di liberalizzazione della  produzione
di energia elettrica quanto quella di  promozione  e  sostegno  delle
iniziative economiche volte alla produzione  di  energia  rinnovabile
prevedessero gia' all'epoca della sottoscrizione  della  convenzione,
in modo chiaro, il divieto  di  imporre  misure  di  compensazione  a
carattere meramente patrimoniale: la produzione di energia  elettrica
costituisce, infatti un'attivita' libera soggetta unicamente  ad  una
preventiva autorizzazione generale  e  il  legislatore,  per  effetto
della normativa euro-unitaria, ha introdotto meccanismi  di  sostegno
all'installazione di impianti  di  produzione  di  energia  da  fonte
rinnovabile (la cui costruzione  e  il  cui  esercizio  costituiscono
libere  attivita'  di  impresa  soggetta  alla  sola   autorizzazione
amministrativa della  Regione  ex  art.  12,  comma  6,  del  decreto
legislativo n. 387  del  2003),  al  fine  del  raggiungimento  degli
obiettivi stabiliti in  sede  comunitaria,  che  non  possono  essere
vanificati dall'introduzione di  misure  di  compensazione  meramente
patrimoniali,  costituenti  un  disincentivo   all'investimento   nel
settore in questione da parte degli operatori interessati; 
    peraltro, anche la giurisprudenza costituzionale ha da  sempre  a
piu' riprese (ed anche in sentenze  pronunziate  in  epoca  anteriore
alla  convenzione  oggetto  del   giudizio)   affermato   l'esistenza
nell'ordinamento del suddetto divieto di imporre misure  compensative
a carattere meramente patrimoniale in relazione  alla  costruzione  e
all'esercizio di impianti alimentati da  fonti  rinnovabili  e  quale
condizione per il rilascio dei  relativi  titoli  abilitativi  (Corte
cost. 14 ottobre 2005, n. 383; 28 giugno  2006,  n.  248,  1°  aprile
2010, n. 124; 26 marzo 2010, n. 119); 
    a  tali  principi  affermati  dalla  Corte  costituzionale  nelle
pronunce  richiamate  si  e'   conformata   in   modo   costante   la
giurisprudenza amministrativa, anche di questo Consiglio, la quale ha
statuito  che  «non  da'  luogo  a  misura  compensativa,   in   modo
automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un  impianto
di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da  ogni
considerazione sulle sue  caratteristiche  e  dimensione  e  dal  suo
impatto sull'ambiente», chiarendo, pertanto, che tali  misure,  oltre
ad essere solo «eventuali» e «correlate alla circostanza che esigenze
connesse   agli    indirizzi    strategici    nazionali    richiedano
concentrazioni territoriali di attivita', impianti ed  infrastrutture
ad  elevato  impatto  territoriale»,  devono   essere   «concrete   e
realistiche» (id est:  determinate  tenendo  conto  delle  specifiche
caratteristiche del parco eolico e del suo impatto)  e  «non  possono
essere unilateralmente stabilite da  un  singolo  comune»  (Cons.  di
Stato, Sez. III, 14 ottobre 2008, n. 2849); 
    tali fondamentali principi nella materia in  oggetto  sono  stati
recepiti e ulteriormente confermati  con  l'emanazione  delle  «Linee
guida  per  l'autorizzazione  degli  impianti  alimentati  da   fonti
rinnovabili» , approvate con decreto ministeriale 10  settembre  2010
che, nel regolare il procedimento di  cui  all'art.  12  del  decreto
legislativo  n.  387  del  2003  per  l'autorizzazione   unica   alla
realizzazione e all'esercizio di detti  impianti,  ha,  tra  l'altro,
previsto che  trattasi  di  «attivita'  libera,  nel  rispetto  degli
obblighi di servizio pubblico» (punto 1.1.); che  «le  regioni  o  le
province  delegate  non  possono  subordinare  la  ricevibilita',  la
procedibilita' dell'istanza o la conclusione  del  procedimento  alla
presentazione  di  previe  convenzioni  ovvero  atti  di  assenso   o
gradimento, da parte dei comuni il cui territorio e' interessato  dal
progetto» (punto 13.4); e che «eventuali misure  di  compensazione  a
favore dei comuni, di  carattere  ambientale  e  territoriale  e  non
meramente patrimoniali o economiche» possono essere determinate dalle
amministrazioni competenti in  sede  di  riunione  di  conferenza  di
servizi nel rispetto dei puntuali criteri di cui all'Allegato  2  del
decreto ministeriale (tra i quali quello della ricorrenza di «tutti i
presupposti indicati nell'articolo 1, comma 4, lettera f) della legge
n. 239 del 2004»); 
    in definitiva, alla luce della normativa di  settore  applicabile
come   interpretata   dalla    giurisprudenza    costituzionale    ed
amministrativa, soltanto lo Stato e le regioni in sede di  conferenza
di servizi (e non anche  i  comuni)  potrebbero  prevedere  eventuali
misure di compensazione e di riequilibrio ambientale a carattere  non
meramente patrimoniale, posto che «per  misure  di  compensazione  si
intende, in genere, la  monetizzazione  degli  effetti  negativi  che
l'impatto ambientale determina, per cui chi  propone  l'installazione
di un determinato impianto s'impegna a devolvere, all'ente locale cui
compete l'autorizzazione, determinati prestazioni e servizi» e che la
legge  statale  vieta  tassativamente  che  il  rilascio  dei  titoli
abilitativi per la costruzione  e  l'esercizio  di  impianti  per  la
produzione di  energia  eolica  sia  subordinata  all'imposizione  di
corrispettivi soltanto economici (Corte cost., numeri 124 del 2010  e
119 del 2010); 
    l'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del  2018  si  inserisce,
dunque,  in  tale  contesto  normativo  e  giurisprudenziale,   cosi'
sinteticamente   ricostruito,   nel   quale   erano   gia'   vigenti,
anteriormente  all'emanazione  delle  citate   Linee   guida,   norme
imperative  che  vietavano  l'adozione  di  misure  compensative   di
carattere patrimoniale quali condizioni per  il  rilascio  di  titoli
abilitativi  e  numerose  pronunzie  dei  Tribunali   amministrativi,
conformandosi  all'orientamento  del   giudice   di   appello   sopra
richiamato, avevano di conseguenza dichiarato la radicale nullita' di
siffatte  clausole  contenute   nelle   convenzioni   stipulate   dai
produttori di energia rinnovabile con  i  Comuni,  ritenendo  che  si
trattasse  di  prestazioni  patrimoniali  prive  di  causa   per   la
realizzazione  di  tali  impianti  costituente  libera  attivita'  di
impresa  e  che  fossero  invece  legittimi  solo  gli  accordi   che
contemplavano misure di compensazione e riequilibrio del  pregiudizio
subito dall'ambiente a causa dell'impatto del nuovo impianto  oggetto
di autorizzazione (cfr. Tribunale amministrativo  regionale  Lazio  -
Roma, 7  febbraio  2019,  numeri  1595,  1591,  1590,  1588  e  1587;
Tribunale amministrativo regionale Puglia - Lecce, 15 novembre  2016,
n. 1737; Tribunale amministrativo regionale Puglia - Lecce, 7  giugno
2013, n. 1361 e 1347; Tribunale amministrativo regionale Puglia Bari,
I, 24 maggio 2018, n. 737, e 7 giugno 2018, n. 830); 
    con  l'emanazione  di  tale  norma  di  bilancio  il  legislatore
avrebbe, pertanto, preso atto, ad avviso delle appellanti, del quadro
normativo e del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il
quale le clausole convenzionali che prevedono misure di compensazione
a carattere meramente patrimoniale  a  favore  dei  comuni  sarebbero
radicalmente nulle, non potendo essere oggetto  di  «negoziazione»  o
«remunerazione»,  cui  condizionare  l'espressione   di   un   parere
favorevole alla realizzazione e all'esercizio  dell'impianto  eolico,
la posizione dell'amministrazione comunale in  seno  alla  Conferenza
dei servizi convocata per il rilascio dell'autorizzazione unica  alla
costruzione ed esercizio del parco eolico; 
    tale prospettazione  troverebbe  conferma  negli  atti  ufficiali
relativi ai lavori parlamentari di approvazione della norma,  versati
dalle ricorrenti in giudizio (cfr. dossier 7 dicembre  2018,  recante
la «Sintesi degli emendamenti approvati dalla V Commissione Bilancio»
e dossier 10 dicembre 2018, recante le «Schede di lettura» dai  quali
emergerebbe che la ratio della disposizione in oggetto sarebbe quella
di definire in via legislativa una pluralita' di contenziosi pendenti
relative  a  siffatte  convenzioni  (eliminando  gli  effetti   delle
pronunce  di  nullita'  per  violazione  di   norme   imperative)   e
salvaguardare i bilanci degli enti locali che hanno  stipulato  detti
accordi; 
    infatti, nei lavori parlamentari  e'  richiamato  il  consolidato
orientamento del giudice  amministrativo  il  quale  ha  riconosciuto
l'invalidita'  di  convenzioni  gia'  stipulate  che  imponevano   il
pagamento di misure compensative patrimoniali da parte delle societa'
titolari degli  impianti  in  questione  nei  confronti  dei  comuni,
disponendo la ripetizione, in favore delle societa' ricorrenti, delle
somme indebitamente pagate; 
    le appellanti hanno, dunque, nuovamente prospettato la  questione
di illegittimita' costituzionale della  disposizione  in  esame,  ove
fosse applicabile alla fattispecie, posto che con essa il legislatore
avrebbe interferito nelle competenze e nelle funzioni riservate  agli
organi giurisdizionali, in contrasto  con  la  liberta'  di  impresa,
nonche' in violazione dell'art. 117, comma 1,  della  Costituzione  e
dell'art. 6, comma 1, della Convenzione europea per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (principio  del
giusto  processo),  specie  in  ragione  dell'assenza  di  motivi  di
interesse   generale;   hanno   altresi'   dedotto   l'illegittimita'
costituzionale della disposizione in relazione agli  articoli  2,  3,
24,  97,  101,  102,  111  e   113   Cost.,per   irragionevolezza   e
arbitrarieta', anche in considerazione  della  sua  natura  di  legge
provvedimento, tesa ad eludere (pur  prendendone  atto)  la  sanzione
della nullita' di  siffatti  accordi,  disponendone  il  mantenimento
dell'efficacia; hanno, ancora,  dedotto  l'incostituzionalita'  della
citata disposizione in relazione all'art. 117  della  Costituzione  e
agli articoli 1 del primo protocollo e 6  della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, evidenziando la lesione del diritto di proprieta' e del
principio del legittimo affidamento ad ottenere  la  restituzione  di
importi indebitamente versati sulla base di accordi e contratti nulli
e,  comunque,  non  dover  piu'  sottostare  ad  eventuali  ulteriori
richieste di canoni avanzate dal comune e  censurando,  altresi',  la
violazione del principio  di  legalita'  da  parte  del  legislatore,
stante l'assoluta imprevedibilita' dell'intervento normativo,  e  del
principio di ragionevolezza e proporzionalita' «tra i mezzi impiegati
e lo scopo perseguito dalle  misure  restrittive  della  proprieta'»;
hanno ulteriormente censurato la  legittimita'  costituzionale  della
disposizione in relazione agli articoli 3 e  41  della  Costituzione,
sotto il profilo della violazione della liberta'  di  impresa  e  del
regime di liberalizzazione del settore della  produzione  di  energia
elettrica,   sull'assunto    che    l'autorizzazione    all'esercizio
dell'impianto eolico non puo' essere vincolata  al  pagamento  di  un
canone  (con  estensione  di  tale  censura  ai  profili  di  dedotta
incompatibilita' della norma nazionale con il diritto comunitario  su
cui le appellanti hanno fondato la domanda di  disapplicazione  della
norma di bilancio  ovvero  di  rinvio  pregiudiziale  della  relativa
questione alla Corte di giustizia dell'Unione europea); 
    la Sezione condivide i dubbi di costituzionalita' sollevati dalle
appellanti; 
    la norma sopravvenuta sarebbe conforme  a  Costituzione  solo  se
interpretata nel senso che essa si applica  agli  accordi  contenenti
«misure compensative,  a  carattere  non  meramente  patrimoniale,  a
favore degli stessi comuni», ai sensi dell'allegato 2 al decreto  del
Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010  (recante  le
Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati  da  fonti
rinnovabili), richiamato dall'art.  1,  comma  953,  della  legge  di
bilancio per il 2019, e  non  invece  nel  senso  di  una  «sanatoria
generalizzata delle convenzioni» (qualunque sia  il  contenuto  delle
stesse  ed  anche  ove  le  pattuizioni  intercorse  tra   le   parti
individuino misure compensative a carattere meramente patrimoniale); 
    l'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del  2018  sembra  avere,
tuttavia, una portata generalizzata di sanatoria rispetto ad  accordi
che abbiano imposto ai titolari di impianti di produzione di  energia
elettrica  alimentati  da  fonti  rinnovabili  oneri   di   carattere
esclusivamente economico, e di cui e' stata dichiarata la nullita' in
sede giurisdizionale, che non ne consente un'interpretazione conforme
alla Costituzione; 
    essa infatti non distingue, da un lato, tra accordi stipulati per
individuare   misure   compensative   a   carattere   non   meramente
patrimoniale  a  carico  del  titolare  di  impianti  di   produzione
energetica da fonti rinnovabili, secondo quanto previsto  dalle  piu'
volte citate linee guida ministeriali in materia; e  dall'altro  lato
accordi contenenti misure di carattere meramente  patrimoniale,  come
in tesi quella  oggetto  del  presente  giudizio  e  della  quale  le
appellanti chiedono dichiararsi la nullita' ex art.  1418,  comma  1,
codice civile per contrasto  con  la  norma  imperativa  sancita  dal
citato art. 12, comma 6, decreto legislativo n. 387 del 2003, secondo
cui l'autorizzazione unica «non puo' essere subordinata ne' prevedere
misure di compensazione a favore delle regioni e delle province»; 
    l'effetto di sanatoria si desume,  inoltre,  dai  dossier  del  7
dicembre e del 10 dicembre 2018 relativi alla legge di  bilancio  per
il 2019, redatti dagli uffici del Senato  della  Repubblica  e  della
Camera dei deputati, prodotti in giudizio dalle appellati; 
    in tali documenti si ricorda che ai  sensi  dell'allegato  2  del
citato decreto ministeriale 10  settembre  2010,  conformemente  alla
sentenza della Corte  costituzionale  del  1°  aprile  2010,  n.  124
(erroneamente indicata con il  numero  24)  la  quale  ha  dichiarato
illegittima la legislazione regionale contrastante con il divieto  di
condizionare  il  rilascio  del  titolo  abilitativo  a   misure   di
compensazione patrimoniale, «per l'attivita' di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili  non  e'  dovuto  alcun  corrispettivo
monetario  in  favore  dei  comuni»;  ed   ancora   si   rileva   che
«l'autorizzazione unica puo'  prevedere  l'individuazione  di  misure
compensative, a carattere non meramente patrimoniale, a favore  degli
stessi comuni», da orientare, secondo criteri definiti  nello  stesso
decreto  ministeriale,  su  interventi  di  miglioramento  ambientale
correlati alla mitigazione degli impatti riconducibili a progetto; ed
infine, si  evidenzia  che,  in  varie  pronunce,  la  giurisprudenza
amministrativa di  primo  grado  «ha  riconosciuto  l'invalidita'  di
convenzioni gia' stipulate che  imponevano  il  pagamento  di  misure
compensative patrimoniale da  parte  delle  societa'  titolari  degli
impianti in questione nei confronti dei comuni»; 
    la  norma  ha  dunque  previsto,  come  si   ricava   dalla   sua
formulazione letterale, l'irreperibilita' delle  somme  gia'  versate
dai gestori di impianti energetici ed acquisite ai  bilanci  comunali
in base ad accordi sottoscritti prima dell'entrata  in  vigore  delle
linee guida nazionali (tra cui pacificamente la  convenzione  oggetto
della presente  controversia);  per  altro  verso  non  pare  possano
escludersi dal suo ambito di applicazione le somme ancora non versate
e da corrispondere per la residua durata della convenzione; 
    dalla sua  formulazione  («i  versamenti  restano  acquisiti  nei
bilanci  degli  enti   locali,   mantenendo   detti   accordi   piena
efficacia»), si  desume  infatti  che  dalla  piena  efficacia  degli
accordi deriva, anzitutto, l'irripetibilita' dei versamenti di  somme
in esecuzione di essi, coerentemente peraltro  con  il  principio  di
carattere generale per cui ogni spostamento patrimoniale deve  essere
assistito da una legittima causa  giuridica  (art.  2041  del  codice
civile); 
    in  secondo  luogo,  si  deve  ritenere  che  tale  conservazione
dell'efficacia riguardi anche gli accordi che non hanno avuto  ancora
esecuzione, con il pagamento delle somme previste a favore degli enti
locali, i  quali  possono  pertanto  agire  per  l'adempimento  degli
obblighi assunti dai gestori di impianti energetici; 
    nella medesima direzione converge l'obbligo  di  revisione  degli
accordi precedentemente stipulati «alla luce del decreto del Ministro
dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010, e  segnatamente  dei  criteri
contenuti nell'allegato 2 al medesimo decreto», previsto nel  secondo
periodo della norma; 
    nella misura in cui tale clausola  di  revisione  si  propone  di
adeguare i contenuti degli accordi  nel  senso  che  con  essi  siano
previste a carico dei gestori di impianti  energetici  alimentati  da
fonti rinnovabili  misure  compensative  a  carattere  non  meramente
patrimoniale  previste  dal  richiamato   allegato   2   al   decreto
ministeriale - finalizzate a «interventi di miglioramento  ambientale
correlati alla mitigazione degli impatti riconducibili  al  progetto,
ad  interventi   di   efficienza   energetica,   di   diffusione   di
installazioni di impianti a fonti rinnovabili e di  sensibilizzazione
della cittadinanza sui  predetti  temi»  (art.  2)  -  la  stessa  ne
presuppone   evidentemente   la   perdurante   efficacia    in    via
generalizzata; 
    dal secondo periodo si traggono inoltre elementi  a  conferma  di
quanto  osservato  in  precedenza,  e  cioe'  che  non  e'  possibile
circoscrivere la norma ai soli accordi conformi al medesimo allegato,
poiche' altrimenti ne verrebbe svuotata la portata applicativa; 
    deve conseguentemente ritenersi che il suo ambito di applicazione
includa anche gli accordi contenenti misure  di  carattere  meramente
patrimoniale a carico dei gestori di  impianti  produttivi,  come  la
convenzione del 30 agosto 2007 tra le parti  in  causa  nel  presente
giudizio, per i quali questi ultimi  ne  contestino  in  giudizio  la
liceita' e pertanto gli obblighi pecuniari in essi pattuiti; 
    del resto, nel senso di una  sanatoria  generalizzata,  anche  di
accordi in ipotesi contrari alla norma imperativa contenuta nell'art.
12, comma 6, decreto legislativo n. 387 del 2003 e non conformi  alle
linee guida nazionali, la norma e' stata intesa dal comune resistente
nel presente giudizio e dal giudice di prime cure; 
    per tutte le considerazioni finora svolte, l'art. 1,  comma  953,
legge n. 145 del 2018, presenta profili  di  illegittimita'  rispetto
alla Carta fondamentale alla luce dei quali si impone  la  rimessione
alla  Corte  costituzionale  delle  relative  questioni,   ai   sensi
dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme   sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale); 
    la disposizione di legge di stabilita' per il 2019  in  questione
e' innanzitutto rilevante nel presente giudizio, per  le  circostanze
poc'anzi evidenziate, ovvero per il  fatto  che  essa,  conformemente
alla sua funzione di sanatoria  di  eventuali  accordi  invalidi,  e'
stata anzitutto richiamata dall'amministrazione  comunale  appellante
in funzione  paralizzante  dell'azione  di  nullita'  proposta  dalle
originarie ricorrenti e, inoltre, ha  costituito  la  base  normativa
sulla quale il Tribunale  amministrativo  ha  ritenuto  infondato  il
ricorso e lo ha respinto; 
    ed infatti, nella sentenza appellata si legge che  per  un  verso
«qualsiasi sviluppo possibile del rapporto convenzionale e' azzerato»
per effetto della sopravvenuta disposizione della legge  n.  145  del
2018, incidente sugli accordi previsti dalla legge n.  239/2004,  per
altro verso che tale legge non era stata ancora  emanata  al  momento
della decisione delle fattispecie di cui alle sentenze  della  stesso
Tribunale amministrativo n. 737 del 24 maggio 2018 e  n.  830  del  7
giugno 2018 (che hanno accolto il ricorso delle societa' proponenti e
pronunciato  l'annullamento  dell'ingiunzione  di  pagamento  in  via
derivata rispetto alla nullita' della presupposta convenzione tra  le
parti), si' che dette fattispecie non  possono  essere  assimilate  a
quella oggetto del presente giudizio; 
    le misure previste dalla convenzione  controversa  e  di  cui  si
censura la  nullita'  hanno  poi  natura  meramente  patrimoniale  in
quanto, da un lato, esse hanno ad oggetto prestazioni  esclusivamente
economiche a titolo di canone e  corrispettivo  per  le  obbligazioni
assunte dal comune (tra le quali anche  quella  di  porre  in  essere
tutto quanto necessario, nei limiti delle proprie competenze, per  il
rilascio dei titoli abilitativi); dall'altro,  va  escluso  che  esse
siano state volte a compensare uno specifico e  concreto  pregiudizio
ambientale e/o paesaggistico arrecato dal parco eolico in questione; 
    come si legge infatti nella sentenza di primo grado «le parti non
hanno allegato in atti  alcun  documento,  relativo  alle  trattative
intercorse (...) da cui possa evincersi  una  tensione  ad  orientare
l'oggetto  della  prestazione  della  proponente  verso   misure   di
compensazione ambientale connotate dal contenuto tecnico  esplicitato
nell'atto introduttivo del giudizio mediante il  riferimento  ad  una
disciplina - il decreto ministeriale del 2010  -  emanata  oltre  tre
anni dopo  la  stipula  della  convenzione»  ne'  hanno  provato  «la
possibilita' di altrimenti definire le misure in  questione  in  base
alla  particolare  conformazione  dell'area  di   intervento»,   come
dimostrerebbe il fatto che nella convenzione si fa  cenno  solo  alla
destinazione  agricola  dell'area,  «senza  alcun  riferimento   alla
presenza  di  evidenze  naturali  (...)  incise  dalla  realizzazione
dell'impianto  e,  per  tale  motivo,   bisognevoli   di   interventi
ripristinatori»; 
    con riguardo al presupposto della non manifesta infondatezza,  un
primo profilo di illegittimita'  della  norma  censurata  si  ravvisa
rispetto al parametro della  ragionevolezza  ricavabile  dall'art.  3
della  Costituzione,  perche',  eccedendo  dalle  esigenze   connesse
all'obiettivo  legittimo  di  adeguare  per  il  futuro  gli  accordi
contenenti misure compensative di  carattere  meramente  patrimoniale
secondo quanto previsto dalle linee guida nazionali in materia,  essa
dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari
alle medesime linee guida  e  al  sovraordinato  art.  12,  comma  6,
decreto legislativo n. 387 del 2003; 
    inoltre, la clausola di revisione contenuta nel  secondo  periodo
della disposizione non  prevede  alcun  termine,  ne'  strumenti  per
superare il rifiuto o il dissenso eventualmente  manifestato  da  una
delle parti dell'accordo, con il conseguente  rischio  che  l'assetto
originariamente prefigurato dalle parti contraenti,  pur  affetto  da
illiceita', rimanga inalterato; 
    ed infatti, anche a voler ritenere  configurabile  un'ipotesi  di
nullita' derivante da  «ius  superveniens»,  a  rapporto  validamente
instaurato (seguendo il ragionamento della sentenza  di  primo  grado
secondo cui al momento della sottoscrizione  dell'accordo  contestato
in  giudizio  difettava  una  disciplina  normativa   che   definisse
puntualmente  il  contenuto  delle  misure  di  compensazione),  cio'
dovrebbe tradursi in una perdita di ulteriore efficacia dell'atto (id
est: in un arresto della sua funzione negoziale) che confligge con il
mantenimento di efficacia degli accordi  sanciti  dalla  disposizione
sopravvenuta; 
    l'effetto complessivamente derivante dalla  norma  censurata  e',
dunque, quello tipico di una sanatoria  indiscriminata,  per  cui  il
gestore dell'impianto elettrico  rimane  vincolato  al  pagamento  di
somme in esso previste, prive di finalizzazione ambientale  ai  sensi
dell'allegato   2   alle   linee   guida   nazionali,    senza    che
contemporaneamente sia realizzato l'obiettivo di adeguare gli accordi
al principio di ordine imperativo per cui l'autorizzazione unica  per
impianti di produzione energetica alimentati da fonti rinnovabili non
puo' essere subordinata ne'  prevedere  misure  di  compensazione  di
carattere meramente patrimoniale, ai  sensi  dei  piu'  volte  citati
articoli 12, comma 6, decreto legislativo n. 387 del 2003 e 1,  comma
5, legge n. 239 del 2004 (negli stessi termini si e' gia' espressa la
stessa Corte costituzionale, nella sentenza del 1°  aprile  2010,  n.
124); 
    ne'  la  prospettata  nullita'  per   contrarieta'   alle   norme
imperative su indicate puo' essere superata da una valutazione  sulla
condotta del comune nella fase di formazione dell'accordo negoziale e
sulla conformita' ai canoni di  lealta'  e  correttezza  al  fine  di
verificare  se  i  proventi  economici   siano   stati   «liberamente
pattuiti», come previsto dalla norma in esame, si' da  verificare  se
la  regolazione  trasfusa  nella  convenzione  esprima   un   accordo
liberamente   consolidatosi   nella    monetizzazione    dell'impatto
ambientale; 
    l'insussistenza di eventuali lesioni  inferte  alla  liberta'  di
autodeterminazione  dei  soggetti  proponenti  l'installazione  degli
impianti e l'esclusione di dolo contrattuale o  di  una  condotta  di
approfittamento da parte dell'ente  locale  diretta  a  influire  sul
consenso dell'operatore economico non pare poter incidere su clausole
della convenzione, inerenti all'oggetto e alla  causa,  in  contrasto
con norme imperative  che  sanciscono  il  divieto  di  compensazioni
ambientali meramente  patrimoniali,  che  danno  luogo  percio'  alla
nullita'  dell'atto,  in  ragione  della   natura   pubblicistica   e
dell'indisponibilita' dell'interesse tutelato  dalla  norma  violata,
laddove  la  violazione  di  norme  di  comportamento  da  parte  dei
contraenti costituisce unicamente  fonte  di  responsabilita'  o,  in
ipotesi, di annullamento per dolo incidente; 
    dalla nullita' degli  accordi  che  contemplino  siffatte  misure
discende poi come conseguenza automatica  l'improduttivita'  ex  tunc
degli effetti del negozio che, invece, la norma di legge di  bilancio
censurata ha inteso fare salvi in assenza di una plausibile  esigenza
di ordine imperativo, si' che il mantenimento dell'efficacia statuito
dall'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 finisce anche per
vanificare gli effetti connaturati  alla  categoria  giuridica  della
nullita'; 
    la norma censurata appare, pertanto, anche lesiva del diritto  di
azione sancito dall'art. 24 della Costituzione; 
    nel prevedere la conservazione dell'efficacia degli accordi, essa
vanifica infatti l'utilita'  pratica  dell'impugnativa  contrattuale,
ivi compresa la nullita' ai sensi articoli 1418 del codice  civile  e
seguenti, prevista per  reagire  contro  manifestazioni  di  volonta'
contrattuale aventi contenuti contrastanti con norme  imperative,  ai
sensi del comma 1 della medesima disposizione; 
    nel caso degli accordi previsti dall'art. 1, comma 953, legge  n.
145 del 2018 la pronuncia giurisdizionale dichiarativa della nullita'
sarebbe  inutiliter  data,  perche'  da  un  lato,   come   da   essa
espressamente previsto, le somme versate in esecuzione  dello  stesso
non potrebbero essere ripetute  dal  solvens,  gestore  dell'impianto
elettrico; ed inoltre avvalendosi della conservazione  dell'efficacia
parimenti affermata dalla  norma  censurata  l'ente  locale  potrebbe
agire per il pagamento delle somme ulteriormente dovute; 
    un ulteriore profilo di  illegittimita'  costituzionale  e'  dato
dalla violazione  dei  principi  della  separazione  dei  poteri  (in
relazione agli articoli 3, 97, 101, 102,  113  Cost.)  e  del  giusto
processo sanciti dagli articoli 111  della  Costituzione  e  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, in relazione  all'art.  117,  comma  1,  della
medesima Carta fondamentale; 
    la disposizione in oggetto,  eccedendo  dalle  esigenze  connesse
all'obiettivo legittimo di rivedere  gli  accordi  contenenti  misure
compensative  di  carattere  meramente  patrimoniale  secondo  quanto
previsto dalle linee guida nazionali in materia, in  conformita'  con
la   normativa   euro-unitaria   e   i   principi   affermati   dalla
giurisprudenza costituzionale, persegue invece l'intento di  definire
in via legislativa i contenziosi pendenti, interferendo  sugli  esiti
dei giudizi in corso e sulle pronunzie degli organi  giurisdizionali,
in violazione dei principi di terzieta' e imparzialita' del giudice; 
    di conseguenza, l'intervento normativo pare presentare profili di
irragionevolezza, in violazione dell'art. 3 Cost.,  laddove  vanifica
il potere giurisdizionale gia' esercitato  (con  la  declaratoria  di
nullita'  degli  accordi  contrastanti  con  il  divieto  di   misure
compensative a contenuto meramente economico ad opera delle  sentenze
dei giudici di primo  grado)  in  assenza  di  plausibili  motivi  di
interesse generale e senza che cio' risultasse necessario in  ragione
di oscillazioni giurisprudenziali, alterando  in  modo  imprevedibile
rapporti pregressi tra le parti si' da rendere privo di  effettivita'
il diritto alla tutela giurisdizionale; 
    la sanatoria generalizzata introdotta con la  legge  di  bilancio
per il 2019 altera, infatti, in modo irrimediabile, la parita'  delle
parti nel processo, anche in corso, privando una di esse  dei  rimedi
di legge a sua disposizione e vanificando l'utilita'  delle  pronunce
favorevoli  eventualmente  conseguite,  ma  non  ancora   definitive,
quand'anche con esse si sia accertato il contrasto dell'accordo con i
principi  di  ordine  imperativo  regolatrici   del   settore   della
produzione energetica da fonti rinnovabili; 
    sotto il profilo  da  ultimo  evidenziato,  emerge  un  ulteriore
profilo di contrasto della norma censurata con il  vincolo  posto  al
legislatore ordinario dal sopra  citato  art.  117,  comma  1,  della
Costituzione al rispetto degli obblighi internazionali, nel  caso  di
specie  assunti  dall'Italia  con  il  protocollo  di  Kyoto  dell'11
dicembre 1997  della  convenzione  quadro  delle  Nazioni  unite  sui
cambiamenti climatici - che funge da norma interposta e,  quindi,  da
parametro  mediato  di  costituzionalita'  -,  di  cui   il   decreto
legislativo n. 387 del 2003 costituisce  attuazione  nell'ordinamento
giuridico interno, per il tramite della direttiva 2001/77/CE  del  27
settembre 2001 (sulla promozione dell'energia elettrica  prodotta  da
fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'); 
    il contrasto e' ravvisabile nel fatto che gli obiettivi stabiliti
a livello internazionale con il  citato  protocollo,  di  promozione,
sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili in
funzione  dell'abbattimento  delle  emissioni  inquinanti  (art.  2),
rispetto ai quali il principio di gratuita' delle  autorizzazioni  in
materia e' strumentale, potrebbe essere vanificato da  una  sanatoria
generalizzata rispetto ad accordi aventi l'effetto  di  rendere  tali
titoli amministrativi onerosi per ragioni estranee alla  salvaguardia
dell'ambiente, cosi'  da  scoraggiare  gli  operatori  economici  dal
mantenere  i  propri   investimenti   nel   settore   delle   energie
rinnovabili; 
    l'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, nella misura in
cui consente il mantenimento di efficacia degli accordi che prevedano
misure compensative meramente patrimoniali, presenta, dunque, profili
di  irragionevolezza  e  arbitrarieta'  in  quanto  non   prende   in
considerazione ne' l'interesse degli operatori privati  incisi  dalla
sanatoria ne' quelli pubblici alla promozione  e  al  sostegno  della
produzione  di  energia  da   fonte   rinnovabile   (tutelati,   gia'
anteriormente all'emanazione delle linee guida nazionali  di  cui  al
citato decreto ministeriali, da norme imperative,  quale  l'art.  12,
comma 6, del decreto legislativo n. 387 del 2003, in coerenza  con  i
principi   eurounitari   di   riferimento),   non   operando    alcun
bilanciamento  con  l'interesse  alla  conservazione  delle   risorse
acquisite ai bilanci degli enti locali; 
    per la ragione da ultimo evidenziata la  norma  appare  anche  in
contrasto con la liberta' di iniziativa economica garantita dall'art.
41 della Costituzione, in relazione ai principi  generali  regolatori
del settore economico relativo alla  produzione  d'energia  da  fonti
rinnovabili, ricavabili  dagli  articoli  6  della  citata  direttiva
2001/77/CE - secondo cui gli Stati membri sono tra l'altro  tenuti  a
«ridurre gli ostacoli normativi e di  altro  tipo  all'aumento  della
produzione di  elettricita'  da  fonti  energetiche  rinnovabili»,  a
«razionalizzare  e  accelerare  le  procedure  all'opportuno  livello
amministrativo»  e  «garantire  che   le   norme   siano   oggettive,
trasparenti e non discriminatorie...» - e 12 decreto  legislativo  n.
387 del 2003, in virtu' del quale la produzione di energia  da  fonti
rinnovabili  e'  soggetta  ad  un  regime  amministrativo   di   tipo
autorizzatorio, subordinato all'accertamento dei presupposti di legge
e non sottoposto a misure di compensazione di carattere pecuniario; 
    la  disposizione  censurata  pare,  di  conseguenza,   presentare
profili di incostituzionalita' sub specie di violazione dei  principi
di ragionevolezza e della  liberta'  di  iniziativa  economica  nella
misura  in  cui  tramuta  il  rapporto  autorizzatorio  previsto  per
l'attivita' di produzione di energia elettrica (e, per quanto rileva,
per quella da fonti rinnovabili), costituente una libera attivita' di
impresa, in un rapporto di tipo concessorio, che costituisce ex  novo
posizioni soggettive in capo al concessionario a fronte del pagamento
di un canone; 
    infatti, la conservazione dell'efficacia di accordi  che  abbiano
previsto simili misure, proprie di un regime di carattere concessorio
in funzione della regolazione dell'accesso  al  mercato,  rappresenta
per gli operatori del settore un disincentivo economico  rispetto  ad
una prospettiva di continuazione dell'attivita' per l'intero ciclo di
vita degli impianti; 
    sotto quest'ultimo profilo, la disposizione in  questione  sembra
porsi  infine  in  contrasto  con  l'art.   117,   comma   1,   della
Costituzione, in relazione all'art. 1, del 1° Protocollo  addizionale
alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali e 6  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  in
quanto determina, in modo imprevedibile ed in violazione dei principi
di legalita' e proporzionalita' (tra i mezzi  impiegati  e  lo  scopo
perseguito), una lesione del diritto di  proprieta'  degli  operatori
economici che hanno realizzato e messo in esercizio gli  impianti  da
fonti rinnovabili (nella misura in cui osta al soddisfacimento di  un
credito avente consistenza di valore patrimoniale  e  base  normativa
nel diritto nazionale e nell'ordinamento sovranazionale)  e,  quindi,
anche del loro legittimo  affidamento  ad  ottenere  la  restituzione
degli importi versati in esecuzione di accordi di cui si contesta  la
validita' e, comunque, a non dover piu'  corrispondere  (nell'ipotesi
di accoglimento della  domanda  di  nullita')  alcuna  somma  per  la
residua durata della convenzione; 
    per tutte le ragioni esposte  il  giudizio  va  sospeso  e  vanno
rimesse alla Corte costituzionale, ai sensi del sopra citato art. 23,
legge n. 87 del 1953, le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145  del  2018,  in  relazione
agli articoli 3, 24, 41, 97, 101, 102,  111,  113  e  117,  comma  1,
Cost., nonche' in relazione ai principi generali della materia  della
produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli  articoli  6
della direttiva 2001/77/CE e 12 del decreto legislativo  n.  387  del
2003, e agli obblighi internazionali di cui agli articoli 1,  del  1°
Protocollo  addizionale,  6  della   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e  2
del protocollo di Kyoto dell'11 dicembre 1997;